Piante in viaggio

 

 Bandiere nel piatto

 

Un continente a disposizione

Cucine etnografiche: la dieta degli Aborigeni australiani.

Mi ero accinto volentieri a scrivere un pezzo sul ruolo delle piante nella dieta degli Aborigeni australiani, ma cammin facendo me ne sono un po’ pentito. Dovevo ricordarmi che l’Australia non è tutta uguale, e la disponibilità di piante non è la stessa per la zona orientale fatta di foreste umide e per quella centrale ed occidentale desertiche, e neppure per quella del sud-est, quasi mediterranea.

In compenso ho trovato più di un articolo che parla di questo argomento, e proverò dunque a farne una sintesi, facendo riferimento soprattutto agli ambienti dove tutt’oggi vivono comunità di Aborigeni, con le loro intatte abitudini alimentari. Si tratta delle aree poco popolate del Queensland, del Northern Territory, della Western Australia. Lì la vegetazione è quella del “bush”, degli eucalipti e delle mimose, e lì molti Aborigeni vivono ancora da nomadi, mangiando quello che trovano.

Nella alimentazione – e direi nella cultura degli Aborigeni d’Australia – la caccia ha un ruolo fondamentale, e gli animali forniscono buona parte del contributo proteico allo loro dieta. Si va dai canguri grandi e piccoli, ai “possum”, ai pipistrelli della frutta, ma anche ai grandi rettili come i coccodrilli e ai grandi uccelli come gli emu (a partire dalle uova).

Ma in genere, la dieta aborigena è piuttosto povera in carboidrati: non esistendo agricoltura, non esiste neanche l’apporto dato dai cereali che altrove sfamano intere popolazioni (frumento, mais, riso). Gli zuccheri vengono forniti soprattutto dalla frutta, anche se non dobbiamo dimenticare il miele, offerto dalle api selvatiche e da certe formiche dette appunto “del miele”. Nel loro nomadismo, gli Aborigeni dunque si servivano e si servono al grande supermercato della Natura, dove la merce è gratis ma va comunque trattata con rispetto.

Una delle piante più apprezzate è la Terminalia ferdinandiana, una specie di prugna selvatica che viene oggi riconosciuta come la più ricca fonte di vitamina C in Australia (oggi questa Combretacea, diffusa in Western Australia e in Northern Territory, è stata riclassificata dai botanici come Terminalia latipes ssp. psilocarpa).

Sempre nelle zone aride, che caratterizzano quattro quinti del territorio australiano, sono disponibili anche i piccoli agrumi del genere Eremocitrus (quelli che chiamiamo “finger lime”), le bacche della Carissa ovata (o Carissa spinarum, Apocynacea parente della prugna del Natal, la Carissa macrocarpa), i fruttini della Scrophulariacea Myoporum debile o Eremophila debilis, chiamati “amulla”; si raccolgono anche i semi di un miglio selvatico, il Panicum decompositum, che si pestano e si tostano, così come quelli della Enchylaena tomentosa, una Chenopodiacea onnipresente in Australia. Fra i frutti è significativo il consumo del quandong (Santalum acuminatum), che risulta molto energetico, un po’ come i datteri nel Sahara. Nelle regioni aride del Continente Nuovissimo hanno trovato oggi ambiente favorevole anche il messicano fico d’India (Opuntia stricta), il giuggiolo indiano (Zizyphus mauritiana) e la cosmopolita Portulaca oleracea, quell’erba porcellana che sta anche sul mio terrazzo. È invece australiano di origine il fico di roccia, Ficus platypoda, molto apprezzato dai locali anche la sua notevole produttività.

Ben diversa è la disponibilità di cibo nelle foreste tropicali del Queensland: l’elenco delle specie commestibili è lunghissimo, e ci limitiamo perciò a quelle più note. C’è il Lilly Pilly, il Syzygium australe, una Myrtacea con cui i “bianchi” fanno oggi deliziose marmellate, gelatine e bevande fermentate; ci sono la Dianella caerulea (famiglia: Xanthorrhoeaceae) o giglio dalla bacca blu, la Melastoma affine o lingua blu, e le mele Cocky (Planchonia careya, delle Lecythidaceae) le cui bacche vanno bene da arrostite.

Gli Aborigeni australiani si nutrono di molti tipi di radici, tuberi e bulbi, che fanno le veci, sul piano dietetico, delle patate. Fra essi ricordiamo: le specie del genere Dioscorea, ossia gli ignami; la Convolvulacea Ipomoea costata, indicata come patata selvatica; diverse specie del genere Cyperus, chiamate cipolle native. Molte radici contengono veleni che vanno rimossi nediante una lunga immersione in acqua corrente. Segnaliamo anche la Composita Microseris scapigera, detta “margherita igname”: il suo tubero contiene una alta percentuale di inulina (è parente infatti della Enula), ottimo per la flora intestinale.

I semi delle molte acacie che popolano le savane d’Australia vengono raccolti e macinati per produrre una farina con cui si prepara un pane rudimentale. Gli Aborigeni si servono anche dei frutti di alcune Solanaceae, come Solanum chippendalei, Solanum centrale e Solanum ellipticum, che fanno seccare e poi si portano dietro.

Infine non si devono dimenticare le molte “noci” indigene del continente australiano, prima fra tutte la macadamia, con le tre specie Macadamia tetraphylla, Macadamia ternifolia, Macadamia integrifolia (quest’ultima giunta di recente anche da noi). Si può considerare “noce” anche il seme della Araucaria bidwillii, il “bunya tree”, che si conserva particolarmente a lungo (fino a tre anni) e che viene mangiato in occasioni tipo sagra, quando si riuniscono diverse tribù provenienti da luoghi anche molto lontani.

L’elenco potrebbe continuare a lungo; in fondo gli Aborigeni hanno un intero continente a disposizione, con la sua eccezionale biodiversità… è interessante notare peraltro che tali popolazioni non conoscono l’uso di stoviglie e pentole: il loro nomadismo porta a cuocere direttamente il cibo nella cenere dei fuochi che accendono, rigorosamente, all’aperto. In quelle aree vastissime, che noi Europei non riusciamo neppure ad immaginare, al chiuso loro proprio non riescono a stare.

 

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