Piante in viaggio

 

 Bandiere nel piatto

 

Antenati carnivori? Neanche troppo

Cucine nel tempo: i pasti degli Etruschi.

Non c’è nulla di più distante da una dieta vegetariana che una bella bistecca di Chianina, altresì detta “fiorentina”, appena scottata sulla griglia, naturalmente con il suo osso di ordinanza e col sangue che cola ancora. E che dire di un tenero e profumato stufato di cinghiale maremmano, di un gustoso salume di Cinta senese, di un panino col lampredotto, o dell’impasto di fegato e milza spalmato sui crostini? Mi domando se gli antichi abitanti dell’Etruria, gli Etruschi, fossero davvero così… carnivori, e in generale, quali punti in comune la cucina di Porsenna avesse con quella odierna dei loro discendenti fiorentini, senesi e grossetani.

Invero, anche se fagioli, pomodori e pepe nero, presenze assidue nelle attuali ricette toscane, non si conoscevano ancora, gli Autori concordano nella tesi che la dieta di quell’antico e misterioso popolo fosse essenzialmente vegetariana, data anche la abbondanza di frutti e di verdure messa a loro disposizione da quel territorio fertile e vario. Tutt’al più, la parte “animale” si limitava alla carne di maiale (ed anche oggi, in effetti, in Toscana a salumi non si scherza), allevato semibrado, mentre ovini e bovini erano più che altro sfruttati per latte e formaggio.

Prima di tutto, diciamo che i cereali, che ritroveremo nella dieta dei Romani per tutta l’epoca repubblicana, erano una fissazione etrusca, al punto che Giovenale ci puntualizza che la farinata di cereali ha proprio questa origine. Nello specifico, si impiegavano l’orzo (Hordeum vulgare), il farro (Triticum monococcum) e la spelta (Triticum aestivum ssp. spelta), che probabilmente venivano coltivate insieme con il sistema del “farrago” (da cui la parola “farraginoso”, tutto mescolato e complicato). Si ha notizia anche del frumento, Triticum aestivum, coltivato nell’alta valle del Tevere. A condire tali farinate, antenate della “puls” di epoca romana, si usavano gli agli, in particolare due agli selvatici, l’aglio orsino (Allium ursinum) e l’aglio delle vigne (Allium vineale).

E nell’orto c’erano ovviamente cipolle, bietole, cavoli, e soprattutto i legumi dell’epoca, quelli noti e sfruttati da sempre nell’area mediterranea: piselli, fave, vecce (legumi minori, di cui la più importante è Vicia sativa). Molte altre specie commestibili venivano anche raccolte allo stato selvatico. Minestre di verdura ed insalate erano dunque comuni alla mensa degli Etruschi, e lo era anche il pane, con una caratteristica che ritornerà nel corso dei secoli: era cotto senza sale.

Nessuno studio ha finora chiarito se in Etruria fosse già stato addomesticato il castagno Castanea sativa, ma si sa con certezza che le ghiande delle querce fornivano spesso alimento e farine, sia per uomini che per animali. La quercia, pianta simbolo, è identificabile sia con la rovere, più nell’interno, che con il leccio, più sul mare. Dai boschi e dalle macchie venivano e vengono tuttora frutti come i prugnoli, i cornioli, i fichi ed i noccioli.

Ciò che caratterizza la civiltà etrusca, tra le più antiche del Mediterraneo, è anche la predilezione per due specie che rappresentano l’essenza stessa della mediterraneità: la vite e l’olivo. La vite, introdotta almeno a partire dal 900 a. C., sarà la base per una cultura vinicola che domina ancora oggi, così come, e forse ancora di più, per l’olivo. Dovrebbe essere proprio il popolo etrusco a consacrare l’olio come alimento ed ingrediente fondamentale ed insostituibile per le nostre ricette: altrove, ad esempio presso Egizi e Sumeri, l’olio di oliva aveva soprattutto valore cosmetico e medicinale (ci si ungeva la pelle contro le screpolature e le scottature solari). Gli Etruschi, invece, le olive le mettevano addirittura sotto sale, insaporendole con un po’ di mirto o di alloro: chissà se le servivano anche per il rito dell’aperitivo...

 

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