Piante in viaggio

 

 Bandiere nel piatto

 

Non solo sushi (1)

Cucine nel mondo: la cucina giapponese (prima parte)

Non credo che vi sorprenderà sapere che il riso, l’Oryza sativa, è l’alimento base della cucina giapponese. Addirittura, la parola pasto e la parola riso si identificano nella parola “gohan”: ad esempio la colazione viene detta “asagohan”, ossia il “riso del mattino”. Ed il riso ha un carattere quasi sacro: a fine pasto, nella ciotola di ciascuno dei commensali si versa dell’acqua, per poter raccogliere anche l’ultimo chicco rimasto, nulla deve andare sprecato.

Il riso, anche se ai Giapponesi forse questo dispiacerà un po’ ammetterlo, è di origine cinese; ma si può dire che sia da tempo entrato di diritto nelle cucine di quasi tutto il mondo. A differenza delle cucine occidentali, dove fa spesso da primo o da piatto unico (si pensi alla paella), nelle cucine orientali assume in pratica il ruolo del pane, e viene cotto di solito al vapore. In Giappone, come da noi, può essere bianco o integrale; nel Paese nipponico è in genere a chicco corto; deve rimanere un po’ colloso (il più colloso in assoluto è il riso Mochi), per poter essere mangiato agevolmente con le bacchette, oppure per facilitare la preparazione di tortini e di bocconcini del sushi.

Il riso ha anche altri usi: con il riso Nishiki, una varietà di dimensioni medie, si produce il “sake”, la bevanda nazionale giapponese. Sempre dal riso si ottiene il “mirin”, vino tendente al dolce, usato per cucinare, il cui gusto caratterizza le pietanze della gastronomia giapponese; si estrae da un riso speciale chiamato “mochigome”, ma non si aggiunge zucchero: nel mirin il 40% è glucosio naturale derivante da fermentazione parziale. La sua maturazione può durare anche molti anni.

E naturalmente con il riso si fanno gli spaghetti, una usanza ereditata dai cugini cinesi, come ad esempio vediamo nel “ramen”, un brodo ricco e sostanzioso, che può essere di carne o pesce, al quale spesso vanno aggiunte alghe, verdure, uova, mais e salsa di soja o miso (un condimento a base di soja fermentata ed insaporita con sale marino).

Si fanno spaghetti (internazionalmente: noodles) anche con farina di grano, come nel caso degli “udon”, spessi, serviti in forma di zuppa calda, con salsa di soja o di mirin. Sono molto più fini invece i “soba”, di colore grigio-marrone perché ottenuti con farina integrale mista a quella di grano saraceno (Fagopyrum esculentum); vanno bene sia asciutti (e serviti freddi) sia in zuppa calda.

La salsa di soja, che non manca mai sulle tavole nipponiche, con tutte le sue variazioni, è ottenuta dalla Leguminosa Glycine max: anch’essa pianta di origine cinese, fu importata in tempi remoti prima in Korea e poi in Giappone, ma furono dei monaci buddisti provenienti dalla Cina ad insegnare ai Giapponesi, nel VII secolo, la preparazione della salsa. Il successo fu tale che oggi in Giappone, secondo Wikipedia, se ne possono contare almeno quindici versioni principali. In tutti i casi, la differenza maggiore – che si riflette anche nel gusto – fra la salsa di soja giapponese e quella cinese è che nella prima si usa almeno il 50% di grano.

 

(continua)

Ultime cucine visitate