Piante in viaggio

 

 Bandiere nel piatto

 

Non proprio mediterranea...

Cucine d'Italia: la cucina valdostana

L’Italia è un Paese mediterraneo, ma non c’è nulla di più distante fra la dieta mediterranea e la cucina tipica della valle d’Aosta: nella regione che vanta le vette più alte d’Europa, l’olio di oliva non si usa quasi mai, gli ortaggi freschi sono una incognita e il pesce è limitato al massimo a qualche trota. Le splendide ricette valdostane sono ricche e sostanziose, diretta conseguenza di un territorio schiettamente alpino, fatto da pascoli dove regna la produzione dei formaggi (la fontina su tutti) e della carne (quasi sempre bovina). Cibi energetici, adatti al clima ed al lavoro fisico. Tentiamo comunque di inquadrare la cucina valdostana nell’ottica di Piante in Viaggio, evidenziandone il ruolo degli ingredienti vegetali, e partiamo, come siamo soliti fare, dai cereali.

Il cereale più usato non è il frumento (Triticum spp.), peraltro presente nei chnéfflene, bottoncini di pastella concettualmente affini agli knodel dell’Europa centrale, cotti in acqua bollente e conditi con fonduta, panna e speck e a volte con cipolla brasata; nelle crepes alla valdostana, farcite con fontina e prosciutto; e in qualche dolce come i torcetti, biscotti di pasta dolce al burro e miele, originari di Saint Vincent.

Il più usato è viceversa la segale, il cereale tipico delle zone montane, capace di dare un pane dalle caratteristiche uniche, a partire dal peso. Il pane di sola segale è ottimo spalmato di brossa, il burro ottenuto dalla prima scrematura del latte appena munto, ma in genere la Secale cereale si unisce ad altri cereali per dare il pane nero, abbastanza onnipresente nei menu: vedi ad esempio la ipercalorica zuppa dell’asino o zuppa fredda, con pane nero a fette e vino rosso zuccherato; oppure la seupetta à la valpelleunèntse, conosciuta soprattutto col termine francese soupe à la valpelleneintse (che in italiano significa “zuppa della val Pelline”), a base di pane nero, cavoli e fontina. Segale e frumento si ritrovano poi insieme nella peilà, minestra di farina rinforzata dagli immancabili burro e fontina.

La valle di Cogne dirazza un po’: è da far risalire agli stretti rapporti storici con il Piemonte la presenza del riso (Oryza sativa) in almeno due sue ricette, nella seuppa à la cognèntse, variante della seupetta à la valpelleunèntse, e nel semplice ma efficace riso con castagne e latte. Non si può comunque soggiornare in val d’Aosta senza mangiare almeno una volta la polenta: il binomio del semolato del messicano mais (Zea mays) con la fontina è un classico imperdibile.

Scorrendo qua e là nel ricettario della tradizione valdostana, ci imbattiamo ancora in due prodotti di origine andina, i fagioli (Phaseolus spp.) e le patate (Solanum tuberosum), con cui si fa la soça, una minestra speziata con lardo e salsiccia, e la sorsa, zuppa densa in cui trovano spazio anche carote, mele e pere. Le patate sono l’ingrediente base della tartiflette, ricetta importata di recente – anni Ottanta - dalla vicina Savoia. Sono invece precolombiane le fave (Vicia faba) e i porri (Allium porrum), protagoniste rispettivamente delle minestre chiamate favò e puarò.

Finora abbiamo parlato di primi, o al massimo di piatti unici. Non esistono o quasi secondi “vegetariani”, escludendo forse la frittata alle ortiche (Urtica dioica), piatto povero e genuino per definizione. Non dimentichiamoci però delle insalate di primavera, fatte di erbette preziose come il tarassaco (Taraxacum officinale), o delle frittelle di fiori di zucca, tradizione di Ferragosto. I contorni dei secondi sono costituiti per lo più da patate, fagiolini o cavolfiori, anche se va detto che spesso nella preparazione e nella cottura delle diverse carni si usano spesso la cipolla e soprattutto le spezie: a parte il nostrano rosmarino, segnaliamo le esotiche cannella (Cinnamomum spp.) e chiodi di garofano (Eugenia caryophyllata).

Sono proprio queste ultime due le protagoniste dei vini cotti speziati genericamente chiamati vin brulé, insieme a scorze di agrumi. E poi non dimentichiamo la grolla dell’amicizia, un modo tutto valdostano di bere il caffè, dove a ben vedere, negli ingredienti, non c’è nulla di valdostano originario (a parte la acquavite, prodotto nobile dei magnifici vigneti delle zone basse della Vallée). E visto che parliamo di alcool, come non citare le grappe aromatizzate con quasi qualsiasi cosa: la “vuassa di papa Marcel” alla liquirizia (Glycyrrhiza glabra) è stata per anni la mia preferita. Ed ovviamente c’è il genepy, ma ricordiamoci che la raccolta diretta dell’Artemisia genipi è oggi strettamente regolamentata.

Finiamo questo pasto virtuale in valle d’Aosta con il dolce. A parte la farina di base, a volte sostituita od integrata con quella di castagne (Castanea sativa), la cannella e la scorza di limone, è difficile districarci fra qualcosa che non sia burro, panna e uova. Si noti peraltro che spesso, anziché lo zucchero, per rispettare la tradizione si usa il miele (ottimo), come nei citati torcetti di Saint Vincent. I miei biscotti più amati, forse in assoluto, sono però le tegole, dove compare la mandorla (Prunus dulcis); me li porto a casa regolarmente, sono fatti per durare… fino a che non tornerò nella Valle…

 

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