Piante in viaggio

 

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CHININO: Il nostro piccolo “cacciafebbre”

L’arrivo della china dal Sudamerica è stato un evento epocale nella storia della medicina; da quella data (1639), la lotta contro la malaria ricevette un formidabile impulso, grazie all’estratto della corteccia delle piante amazzoniche del genere Cinchona.

Ma anche noi sui nostri monti avevamo (ed abbiamo) delle piante “cacciafebbre”, ed una di queste la chiamiamo proprio chinino, lo stesso della sostanza che ha rivoluzionato le terapie antimalariche.

Il nostro chinino non è affatto un albero, bensì una piccola pianta erbacea, annuale, o talvolta bienne, della famiglia delle genziane; da una piccola radice a fittone parte un fusto, a sezione quadrangolare, alto fino a 35-40 cm, semplice o ramificato solo nella porzione superiore. I fiori sono riuniti in infiorescenze cimose, corimbiformi; la corolla è roseo-purpurea, raramente bianca.

Il chinino, che in botanica è classificato come Centaurium erythraea, è comune nei luoghi erbosi, nei prati e nei pascoli sassosi, dal piano alla regione montana, in un’area che va dal Mediterraneo occidentale all’Asia centrale.

Contiene diversi principi attivi: glucosidi (eritaurina, eritrocentaurina), fitosterina, resine, sostanze amare, flavoni. Ne vengono impiegate le sommità fiorite recidendo la pianta in giugno-agosto, a pochi cm da terra. In terapia il chinino viene considerato principalmente come febbrifugo, ma anche come diuretico, digestivo e depurativo, al pari delle tante Gentianacee utilizzate nell’industria dei liquori. Per uso esterno può essere indicato come antinfiammatorio ed antisettico.

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