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Tema (industria): le grappe aromatizzate

In un vecchio articolo di Luciano Battaia, trovo la citazione di un libro che anche noi possediamo, e che spesso consultiamo: è il libro “La mia grappa”, di Marco Simonetti, Luigi Reverdito Editore. Grazie a questo testo, possiamo controllare che prima di noi ci sia stato qualcheduno che abbia provato una certa pianta dentro una grappa, e che sia sopravvissuto per poterne scrivere.

Ne riporto testualmente una parte: “Le regole basilari per produrre una buona grappa aromatica sono poche: utilizzare esclusivamente ottima grappa di vinaccia e assolutamente non alcool; utilizzare un po’ di zucchero (a seconda dei gusti, ma non più di uno-due cucchiai per litro) per amalgamare i sapori; usare erbe o frutta assolutamente non trattate e, per quanto possibile, selvatiche e magari cresciute tra gli stenti; infine (tranne qualche raro caso) esporre i vasi, ermeticamente sigillati, contenenti la grappa, le erbe, lo zucchero, al sole per un certo tempo (qualche giorno) e poi, secondo me, filtrare e togliere i residui delle erbe o frutti, per evitare sapori troppo forti che tolgono il gusto di grappa e producono invece una bevanda liquorosa. Lasciare riposare per lungo tempo (anche qualche anno se sapete resistere alla tentazione).”

Non credo che ci sia da aggiungere molto altro, e passo all’elenco delle piante particolarmente adatte ad essere messe sotto grappa. Si noti che non saranno necessariamente le stesse che vanno comunque sotto liquore, come la noce (Juglans regia) per fare il nocino, il limone (Citrus limon) per il limonetto, o il mirto (Myrtus communis) per l’omonimo digestivo.

La prima che mi viene in mente è la grappa alla ruta (Ruta graveolens): ne basta un rametto a bottiglia, e più sta lì più rilascia il suo gusto inconfondibile. Non a tutti piace, ma è un ottimo digestivo.

Un rametto basta e avanza anche per la grappa all’assenzio (Artemisia absinthium): se ne mettete di più, si otterrà un sapore esageratamente amaro. Meno profumato ma altrettanto amaro è il gusto dato alla grappa dalla radice di genziana (Gentiana lutea): si tratta della genziana alta a fiori gialli, non di quella piccola a fiori blu, detta altresì genzianella (ad esempio la Gentiana acauils); andrebbero bene lo stesso, ma ricordiamoci che le genzianelle sono spesso – e giustamente - specie protette.

Ci sono poi le grappe aromatizzate con i tanti frutti di bosco che la Natura ci mette a disposizione: si va dal mirtillo (Vaccinium myrtillus), al lampone (Rubus idaeus), alla fragolina di bosco (Fragaria vesca), alla mora di rovo (Rubus fruticosus), ai tanti tipi di ribes (non male quello con l’uva spina, Ribes uva-crispa). Per essere un po’ originali, si possono provare le grappe ai frutti di rosa canina (Rosa canina), di prugnolo (Prunus spinosa), di sambuco nero (Sambucus nigra). Ottimi risultati danno anche le bacche, cioè le galbule, del ginepro comune (Juniperus communis).

La grappa è un prodotto della cultura veneta e friulana, e più in generale di quella alpina, ragione per cui certi abbinamenti tra il distillato di vinaccia e una pianta che viene da altri continenti uscirebbero dalla tradizione. Vale però la pena di citarli, un po’ perché possiamo farli noi stessi, usando una grappa buona ma non eccessivamente già carica di aromi, e trovando facilmente ciò che ci occorre, un po’ perché certe grappe stanno ricevendo un consenso crescente presso i consumatori.

Ve ne cito quattro: le grappe aromatizzate con la scorza di agrumi, dal mandarino all’arancio, al limone, tutte piante di origine asiatica; la grappa al basilico (Ocimum basilicum); la grappa alla cedrina (Aloysia citriodora), da non confondere con il liquore chiamato “erba luisa”, che si ottiene dalla stessa specie sudamericana; e infine la grappa al peperoncino (Capsicum annuum), per la quale ci vuole un certo coraggio, ma la sperimentazione porta spesso a risultati sorprendenti…

 

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