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Il botanico dell'Imperatore

Biografie: Pier Andrea Mattioli.

Uno dei titoli di libro più lunghi nella storia dell’editoria è quello uscito nel 1544 come “Di Pedacio Dioscoride Anazarbeo Libri cinque Della historia, et materia medicinale tradotti in lingua volgare italiana da M. Pietro Andrea Matthiolo Sanese Medico, con amplissimi discorsi, et comenti, et dottissime annotationi, et censure del medesimo interprete”. Per brevità (sacrosanta), tutti lo chiamiamo “Discorsi”. L’Autore, Pietro Andrea Mattioli (Siena 1501 – Trento 1578), è uno dei botanici più famosi del Rinascimento europeo.

In tempi in cui ancora non vigeva l’obbligo della specializzazione, il giovane Mattioli si reca a Padova, dove inizia a studiare di tutto: greco e latino, retorica e filosofia. Da quella Università esce comunque laureato in Medicina, nel 1523. E poichè la medicina di allora si rivolgeva principalmente alle erbe, possiamo tranquillamente affermare che nel Rinascimento dire “medico” significava dire anche “botanico”.

Come medico esercita per un po’ di tempo a Roma, ma i rudi Lanzichenecchi lo convincono presto a ritirarsi nella quiete della val di Non, in Trentino. Chiamato nel 1528 dal principe-vescovo Bernardo di Cles, resterà a Trento per diversi anni, come medico e consigliere personale, ma anche come curatore del giardino della residenza; in quel periodo conosce e frequenta molti umanisti famosi, italiani ed europei, fra cui Erasmo da Rotterdam, ed inizia a lavorare all’opera di Dioscoride. Tale lavoro non si interrompe quando il Mattioli si trasferisce a Gorizia, e finalmente il suo testo vede la luce nel 1544, a Venezia, e senza illustrazioni. Fu la prima delle tredici edizioni che il suo libro fece registrare prima della morte del suo Autore.

Va sottolineato che il Mattioli non si limitò a tradurre in modo puntuale l’opera di Dioscoride, ma la commentò con osservazioni personali (talora addirittura contraddicendo quanto scritto dal medico greco) e soprattutto la integrò con numerose altre specie, molte delle quali reduci da viaggi intercontinentali: ad esempio, le specie americane. Sembra in tal senso che sia stato proprio il Mattioli, in qualche modo, a sdoganare da noi il pomodoro, fino ad allora considerato in Europa solo pianta ornamentale (perché ritenuto velenoso).

Dalla terza edizione ufficiale, del 1550, il libro iniziò a recare illustrazioni, e con l’undicesima (1568) ebbe l’iconografia che oggi ben conosciamo, ad opera del disegnatore Giorgio Liberale e dell’incisore Wolfgang Meyerpeck. La versione latina dei Discorsi del Mattioli ebbe fra l’altro vita editoriale propria, e fu chiamata “Commentarii”. Finì per essere il più importante testo botanico-farmaceutico del XVI secolo, summa delle nozioni di medicina naturale di quel tempo, integrato con appunti tratti dalla tradizione popolare e con la descrizione delle virtù terapeutiche di centinaia di nuove piante, buona parte delle quali “nuove”, appena importate dal lontano Oriente e dalle Americhe.

Oltre che lodi, i libri del Mattioli ricevettero anche critiche spesso pesanti, dove gli si contestavano plagi, errori e falsi. Anche se spesso erano imputabili alla leggerezza con cui i tipografi preparavano in fretta e furia nuove edizioni, spesso neppure approvate dall’Autore (mai fidarsi delle case editrici…), il Nostro fu costretto a rispondere, a partire dal 1558, puntualmente ai rilievi mossigli da João Rodrigues de Castelo Branco, scienziato noto con il nome di Amato Lusitano. Le accuse gli erano già arrivate, l’anno prima anche da un illustre botanico prussiano, Melchior Guilandino (Melchior Wieland). La polemica andò avanti per anni.

Il successo del medico senese fu comunque enorme, cosicché fu chiamato (1555) alla corte dell’Imperatore Ferdinando I, dove diventò medico personale del suo secondogenito, l’arciduca Ferdinando, nella residenza di Praga. Nel 1562 venne nominato Consigliere Aulico e Nobile del Sacro Romano Impero (non chiedetemi che cosa fa un Consigliere Aulico).

Nel 1571 si ritirò a Trento, per poi morirvi, di peste, nel 1578. Il suo monumento funebre può essere ammirato ancora oggi nel Duomo della città.

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