Si trovano spesso, sul web, ricette basate sull’uso del biancospino. Vi consiglio di diffidarne: le ricette che prevedono fra gli ingredienti la corteccia, i fiori o le foglie del Crataegus monogyna andrebbero prescritte unicamente dal vostro medico di fiducia. In quelle parti della pianta, infatti, il biancospino contiene trimetilammina, acidi organici, zuccheri, acido crategico, flavonoidi, acidi triterpenici. Per questa ragione del biancospino sono indicati (anzi ripeto, prescritti) l’infuso e la tintura dei fiori contro l’insonnia, l’ipertensione e le palpitazioni, e il decotto della corteccia come febbrifugo.
Stabilito questo fondamentale principio di precauzione, potete invece stare più tranquilli se usate i frutti del Crataegus monogyna, nei quali le sostanze potenzialmente tossiche sono molto meno presenti: i frutti in decotto sono comunque utili contro la diarrea e la ritenzione urinaria; per uso esterno (ma solo per quello), il decotto di frutti e corteccia e l’infuso dei fiori sono buoni antinfiammatori della bocca e delle gengive. E infine, quei frutti scarlatti non sono affatto male se lasciati a macerare in qualche buona grappa, lo dico per esperienza diretta.
Il biancospino è un arbusto molto comune, originario dell’Europa centro-meridionale e del nord Africa: si trova ovunque in Italia, nelle siepi, macchie e boscaglie, dalla fascia mediterranea sino all’orizzonte inferiore del piano montano (fino a circa 1600-1800 metri sul livello del mare).