L’idea di fare una “Piccola guida italiana al riconoscimento delle liane” mi è venuta spesso. Le liane sono facili da riconoscere, e da noi non sono poi così numerose come nelle intricate foreste tropicali. Da noi ci sono i caprifogli, alcuni convolvoli, c’è il tamaro, la vitalba, la smilace, e naturalmente l’edera. In parte, si possono comportare da liane anche la pervinca e l’asparago selvatico. Sono le cosiddette epifite, che approfittano del fusto e dei rami delle altre specie legnose (o di qualsiasi altro sostegno, compreso muri e pali) per raggiungere la luce. Di per sé non fanno un gran danno alla pianta su cui si appoggiano, tanto meno succhiano la linfa altrui, e certamente non “soffocano”, ma molte di loro sono velenose, e la più velenosa fra tutte direi che è la brionia.
La Bryonia dioica, che alcuni considerano una sottospecie della Bryonia cretica, è una pianta erbacea perenne dalla radice a fittone; ha un fusto sottile e rampicante, munito di robusti cirri, lungo da 2 a 4 m, spesso peloso e ispido. Porta foglie alterne, picciolate, palmato-lobate, dall’apice spesso ottuso, e dalla base cuoriforme; la loro superficie è coperta da peli rigidi. Come ci indica il nome specifico, questa brionia è dioica, ossia annovera esemplari con soli fiori maschili e esemplari con soli fiori femminili: riuniti all’ascella delle foglie, hanno il calice a tubo e la corolla aperta in cinque lobi ovali-lanceolati, color giallo pallido. Il frutto è una bacca rossa della grandezza di un pisello.
Ogni parte della brionia è velenosa, a partire da radice e frutti, che hanno in teoria proprietà purgative, emetiche, emmenagoghe e vermifughe. Un tempo la droga ricavata dai frutti si usava per casi gravi da uremie, edemi polmonari e avvelenamenti da narcotici, mentre le radici essiccate o a volte fresche servivano, a dosi minime, come purgante drastico. In generale la pianta è irritante anche per solo contatto con la pelle; in caso di sovradosaggi, la brionia provoca vomito e spasmi colitici, e può condurre alla morte per arresto cardiaco. Se ne sconsiglia perciò in assoluto l’uso domestico.