Piante in viaggio

 

 Bandiere nel piatto

 

Con la speranza che non cambino troppo (1)

Cucine nel mondo: la cucina vietnamita (prima parte)

Prima di visitare il VietNam, la Lonely Planet di cui disponevo mi avvertiva, nel suo stile disincantato: “Mangia pure i tuoi gamberi in agrodolce, perché alla bambina che ti guarda con il fratellino affamato in braccio e gli occhi supplichevoli ti ci dovrai abituare…”. Era vero, e se volevo gustare senza pensieri le prelibatezze della cucina vietnamita dovevo andare in posti un po’ più appartati, posti per turisti con il buttafuori, posti chiusi agli sguardi. Oppure provare a mangiare quello che davvero mangiavano loro, certamente meno nutriente, meno elaborato, meno sfizioso.

Ma si era nel 1996, e solo da qualche mese il VietNam aveva aperto al turismo (tra parentesi, me la cavai piuttosto bene, e mangiai spesso alle stazioni, nei mercati, alle bancarelle, e solo raramente al ristorante). Oggi le cose sono abbastanza cambiate, il VietNam è un Paese in fortissima crescita, il turismo ha un boom e lo straniero non viene più visto soltanto come uno curioso animale dai gusti strani e dal portafoglio gonfio. Ed è dunque ora di saperne di più sulla cucina vietnamita, che fino a qualche decennio fa era appannaggio solo dei fuoriusciti dalle guerre del Tonchino e rifugiatisi a Parigi.

La cucina del VietNam è davvero a metà strada fra la cucina cinese del Sud, che è la cucina cantonese, e quella indonesiana, che molti Olandesi hanno imparato a conoscere bene (è di fatto la loro cucina nazionale), ma è caratterizzata da una maggiore leggerezza, se vogliamo da una maggiore genuinità: le preparazioni sono in genere meno complicate, l’uso di prodotti freschi è la norma, facilitata dalla ricchezza di frutti e ortaggi di quella fertile terra.

Le risaie che ho visto ininterrottamente, quasi tutte coltivate a mano, fra la pianura del Fiume Rosso e quella del Mekong, giustificano la posizione di predominio che il riso (Oryza sativa) ha nelle ricette vietnamite: si tratta di un riso a chicchi piccoli e candidi, che si raccoglie anche più volte l’anno. Si può friggere o saltare in padella, con qualche aggiunta di pesce, carne, uova fritte a striscioline, verdure e salse varie, ma di solito, il riso si fa lessare per servire da contorno, come usa in molte cucine dell’Oriente, e non solo. Se ne possono fare anche spaghetti (i noti “noodles”), consumati in genere in zuppe. Nota: una zuppa calda servita a colazione là è la norma, anche se noi Occidentali preferiremmo a volte pane e marmellata e caffelatte. Il riso compare anche nei dessert (ad esempio nel “che”, gelatina di riso aromatizzata al lychee, il Litchi chinensis), ma qui di solito prevale la soja (Glycine max).

Fonte di carboidrati è anche il grano (Triticum spp.), sia per fare altri tipi di “noodles”, ma anche per confezionare il cosiddetto “pane francese”, una piccola baguette diffusissima ad Hanoi e in molte parti del VietNam, evidente retaggio della colonizzazione francese, durata fino alla disfatta di Dien Bien Phu (1954).

I noodles, di riso o di frumento, sono molto versatili, al pari dei nostri spaghetti, e come loro possono essere insaporiti da altri ingredienti e da salse (celebre è la nuoc mam, a base di pesce) ed ovviamente da spezie come lo zenzero, il pepe nero, il limone o il lime. Posso confermare anzi che il piatto vetnamita per eccellenza non è come siamo portati a pensare il nem, l’involtino vietnamita, variante miniaturizzata dell’involtino di primavera cinese, servito come cibo di strada, bensì la zuppa di noodles, detta pho, che ho visto mangiare a qualsiasi ora del giorno, addirittura proposta per strada da donne che si portavano sulle spalle il loro “bilanciere”: da una parte avevano lo sgabello e il fornetto, dall’altra le tazze, l’acqua e gli ingredienti, si sedevano sul marciapiede e ti confezionavano il brodo di noodles lì per lì…

 (continua)

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