Piante in viaggio

 

 Bandiere nel piatto

 

Un credo vegetariano che funziona (1)

Cucine nel mondo: la cucina indiana del Sud (prima parte)

Per capire fino a che punto può essere sana, varia e soprattutto saporita una cucina vegetariana, bisogna recarsi nell’India del Sud. Qui, fra gli Stati del Karnataka, del Kerala e del Tamil Nadu vive una maggioranza Indù, i cui obblighi religiosi vietano di danneggiare tutti gli esseri animali, e quindi di mangiarne le carni. Mai come nell’India del Sud la cucina è stata influenzata dal credo vegetariano di quei popoli.

Se avete comunque voglia di carne, in certi ristoranti ed alberghi (gestiti probabilmente da mussulmani) vi saranno offerti polli, montoni ed agnelli, sotto forma di spezzatini al curry, di spiedini alle spezie, di bocconcini frollati nello yoghurt: sono piatti consumati soprattutto dalle minoranze islamiche e cristiane, significativamente presenti in quelle regioni. Sulla costa, poi, qualche gamberetto o qualche pesce alla griglia appena pescato non guasta affatto.

Per il resto, tutto il cibo è di origine vegetale, a parte le solite uova ed il latte nelle sue varie forme. Ma anche ad esempio il latticino detto ghee, che conosciamo come “burro chiarificato”, è spesso sostituito qui da olio di sesamo (Sesamum indicum) o di arachidi (Arachis hypogaea, sudamericana).

Il modo tipico di mangiare all’indiana è il thali, termine con cui si definisce una foglia di banana (Musa x paradisiaca) che fa da stoviglia (assolutamente biodegradabile, quindi). Sul thali si appoggiano l’immancabile riso (Oryza sativa) e diversi assaggini di legumi, verdure e salse. Vi compaiono spesso anche i samosa, le celebri frittelle indiane ripiene, consumate però in genere come cibo di strada presso gli innumerevoli chioschi. Si mangia rigorosamente con le mani, anzi con la sola mano destra, e si apprezza che in ogni ristorante ci sia il rubinetto dove lavarsi bene sia prima che dopo il pasto.

Il riso fa dunque da accompagnamento e da pane, ma in alternativa potete apprezzare il tipico pane indiano, il naan, cotto negli appositi forni tandoori, ed eventualmente speziato con aglio o cumino (Cuminum cyminum), oppure il chapati o il roti, tutte varianti di pani non lievitati o quasi, che però appartengono più alla cucina dell’India del Nord, del Pakistan, dell’Iran e dell’Afghanistan che all’estremo sud dell’India. La base è sempre il frumento (Triticum spp.), ma non mancano farine di altri cereali, o di specie che cereali non sono, come il sesamo (probabilmente africano di origine) e l’amaranto (Amaranthus spp., del Centramerica).

Più che i cereali, sono i legumi i veri protagonisti della cucina dell’India del Sud: ce n’è davvero per tutti i gusti, in genere sono di piccole dimensioni e in genere sono cotti a lungo, fino al punto da diventare una sorta di purea farinosa, con cui si confezionano ripieni, frittate, zuppe e persino dei dolci, solitamente consumati come cibo di strada. Fra di loro spiccano i legumi del genere Vigna: il fagiolo mungo verde (Vigna radiata) e quello nero (Vigna mungo), il mugun (Vigna trilobata). Poi ci sono legumi a noi familiari, quali i piselli, i ceci e le lenticchie, e un po’ meno familiari, come il caiano (Cajanus cajan) o il fagiolo di madras (Macrotyloma uniflorum). Potete trovare spesso anche le arachidi e il mais: la contaminazione americana è arrivata fin qui.

(continua)

 

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