A Padova, nell’insigne Orto botanico dell’Università, si può ammirare una palma che colpì l’immaginazione di Goethe: piantata nel 1585, nota come “Palma di Goethe”, il grande poeta tedesco, la vide nel 1786, durante il suo viaggio in Italia, e la inserì fra i suoi appunti. Si tratta di un esemplare di Chamaerops humilis, ed è tuttora la pianta più antica dell’Orto botanico patavino.
La palma nana possiede uno o più fusti, eretti o un po’ contorti, a seconda delle condizioni ambientali, che vanno da pochi decimetri a qualche metro di altezza. Il tronco è coperto dalle guaine sfibrate delle foglie secche cadute, e termina con un ciuffo abbondante di foglie.
Le foglie sono palmate, formate da 10-15 lacinie di colore verde scuro, provviste di un picciolo legnoso. I fiori sono piccoli e numerosissimi, disposti in infiorescenze a pannocchia, di colore giallo, che appaiono fra maggio e giugno. Dopo qualche settimana appaiono grappoli di frutti rossi.
Nella storia della nostra economia, la palma nana ha avuto una certa importanza: fino agli inizi del ‘900 le foglie venivano usate per la costruzione di oggetti vari cesti, copricapi, ventagli e scope (da cui molti nomi comuni e dialettali, come i siciliani “scuparina” e “scupazzu”).
I frutti, pur commestibili, sono astringenti e un po’ troppo ricchi di tannini. Invece i giovani germogli apicali, alla pari di molte palme tropicali, sono midollosi ed hanno un alto valore nutritivo: già in epoca romana presso le popolazioni del Nordafrica e della Sicilia costituivano un’ottima verdura da lessare. Insomma: non ci hanno insegnato i brasiliani a mangiare i cuori di palma…