Wikipedia è preciso: la parola “troll”, nelle leggende scandinave, indica un abitante demoniaco di boschi, montagne, luoghi solitari, e corrisponde all’orco di altre tradizioni popolari europee. E prosegue specificando che, nel gergo di Internet, indica un utente di una comunità virtuale, solitamente anonimo, che intralcia il normale svolgimento di una discussione inviando messaggi provocatori, irritanti o fuori tema.
Fino a che non ho fatto indagini appropriate, ritenevo che il nome scientifico del botton d’oro, la Ranuncolacea Trollius europaeus, avesse appunto a che fare con i “troll”. Invece no: come spiegano i siti di botanica che ho consultato, il nome del genere riconduce al’antico vocabolo tedesco “trol”, che sta per “sfera”. Quindi, niente atmosfere horror, niente paure dell’ignoto, niente pericoli, ma sola una bella sfera gialla e luminosa che è il fiore del botton d’oro, cioè il Trollius europaeus, a rallegrare i prati e i pascoli dei rilievi e delle regioni fresche d’Europa (fino alla Siberia occidentale). Questa specie fa infatti parte della vegetazione detta a “megaforbie”, costituita da alte erbe annuali, che crescono rigogliose nei pascoli dove il terreno è più umido e grasso; in genere si tratta di specie scartate dal bestiame perché spinose o velenose.
Come succede per molte Ranuncolacee, anche il botton d’oro è tossico, dato che contiene protoanemonina, sostanza velenosa derivante dal glucoside ranuncolina. Non ha dunque impieghi alimentari né medicinali, ma, per la bella ed originale forma del fiore, viene spesso coltivata come ornamentale, soprattutto nelle sue varietà a fiore pieno (con elementi soprannumerari).