L’albero di cui parliamo ora è la dimostrazione che se una cosa è abbondante, ma serve a poco, non ci facciamo caso più di tanto: è il destino del carpino nero, una specie molto comune, direi onnipresente nelle nostre formazioni forestali caducifoglie di tipo collinare, dove cresce spontaneo nelle regioni dell’Europa meridionale e in Asia minore; preferisce di solito terreni calcarei, in posizioni asciutte e calde, ma è capace di scendere anche in zone mediterranee, almeno in quelle più fresche e ombrose.
E in effetti il carpino nero, se si esclude il suo saltuario uso nella formazione di siepi (cresce rapidamente e sopporta bene il taglio ridando getti dall’apparato radicale), non dà frutti commestibili, non produce resine interessanti per la cosmetica o per l’industria, possiede un legno dal medio potere calorico adatto al massimo per produrre carbone vegetale, non ha valore ornamentale in parchi e giardini come invece hanno tante altre specie esotiche. Eppure è il più comune e fedele compagno di tante nostre passeggiate in collina, dove costituisce quella che i botanici chiamano “bosco misto”, o più tecnicamente “orno-ostrieto”, dal nome dell’orniello (Fraxinus ornus) e appunto del carpino nero (Ostrya carpinifolia).