Piante in viaggio

 

 Le protagoniste

 

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DATTERO DEL DESERTO: Le carovane che partivano dall’Egitto

È improbabile che il dattero del deserto giunga mai sulle tavole degli Occidentali, ma è senz’altro una specie che ha viaggiato molto, seguendo le rotte carovaniere tracciate da secoli fra le oasi delle aree desertiche del Vecchio Mondo, dal Sahara al Deccan. E lo ha fatto partendo dall’Egitto, la sua probabile terra di origine. Sono infatti almeno 4000 anni che sulle rive del Nilo si coltiva l’albero che oggi i botanici chiamano Balanites aegyptiaca: ce lo indicano le pietre votive trovate nelle tombe egizie sin dalla Dodicesima Dinastia (dal 1990 a.C. al 1780 a.C.).

Allo stato selvatico, questa Zygophyllacea è oggi diffusa non solo in Egitto, ma anche nella regioni più aride dei Paesi confinanti, dalle savane del Sahel, alla penisola Arabica ed a quella Indiana (fino al Myanmar). Proprio verso il suo estremo confine occidentale, in Mauritania come in Senegal, assume una discreta importanza economica: i frutti maturi, là chiamati teishit, dal gusto fra l’amaro e il dolce, sono popolari fra i bambini, mentre gli adulti in genere se ne cibano solo in caso di penuria di cibo; del dattero del deserto sono un ripiego alimentare anche i germogli e le foglie più tenere, preparate lesse come gli spinaci.

Il dattero del deserto è un alberello che raggiunge talvolta i 10 m di altezza, e tutto fa pensare a una pianta adattata ai climi caldi ed aridi: il suo tronco è piuttosto esile ma resistente; ha una corteccia grigio-bruna, che si sfalda in modo irregolare in frammenti giallo-verdi. Sui rami compaiono spine diritte inserite a spirale. Le foglie, composte da due foglioline ellittiche, di colore verde scuro, sono anch’esse dotate di spine alla base. Le infiorescenze hanno punti di inserzione diversa sul fusto, ma tutte mostrano fiori ermafroditi, con 5 lunghi petali verdastri e 10 stami gialli. Il frutto è una drupa ovodale, simile in effetti a un dattero, a simmetria pentamera appena accennata, portato da un breve picciolo; da maturo ha la buccia bruno chiara o violacea, fragile; la polpa appiccicosa contiene un unico seme legnoso.

Il frutto, ricco in vitamina A, si fa talvolta fermentare per produrre bevande alcoliche; il seme ricco in olio (fino al 40%), nutriente, si mangia bollito insieme al sorgo.

Nota: in un minimarket multietnico del mio centro storico, ho trovato – e comprato subito - una confezione di datteri del deserto, seccati esattamente come i fichi: la loro consistenza è dura ma friabile, il loro gusto molto dolce, quasi troppo (di amaro non c’era più nulla). In tutti i casi, una esperienza organolettica interessante.

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