Verso il 1300, un tal Arnaldo (o Rinaldo) da Villanova, medico e scrittore, con la fama di alchimista e mago, nel suo Thesaurus pauperum scriveva: “Chi si lava la bocca una volta al mese, con il vino dove sono state cotte radici di titimaglio, non ha mai mal di denti, ed è un rimedio al dolore”.
Il titimaglio è quella che chiamiamo calenzuola, l’Euphorbia helioscopia; quella che abbiamo riportato è dunque una delle più antiche citazioni di questa specie, non menzionata nel periodo classico da Greci e da Romani.
Proprio a causa del lattice, della calenzuola si sconsiglia ovviamente l’uso interno, e va evitato anche il contatto con gli occhi; ma la medicina popolare indica questa pianta per la cura di sciatica, artrite, pleurite e verruche, specialmente in applicazione diretta sulla parte dolorante, o anche mediante impacchi.
La calenzuola è diffusissima; direi anzi che è una tipica infestante, frequente in orti e coltivi; è spesso la prima ad arrivare su terreni incolti, margini dei sentieri e sterrati sassosi, sempre in ambienti soleggiati. Data la sua invasività, non fa meraviglia trovarla oggi pressoché in tutti i continenti: si definisce dunque specie subcosmopolita.