Il motivo per cui ci interessa questa specie è un alcaloide, contenuto nella coccola, dal nome chimico di picrotossina. Se si prendono le coccole, si fanno seccare e si buttano in uno stagno, i pesci vengono a galla istupiditi dalla picrotossina liberata dai frutti, e si fanno facilmente catturare. Gli Occidentali considerano questo metodo di pesca “poco sportivo”, ma gli abitanti dei villaggi dell’Asia sudorientale, in cui vive questa pianta, non se ne curano più di tanto. La Anamirta cocculus è infatti diffusa in Natura in una vasta porzione dell’Asia tropicale, dall’India del Sud alla Nuova Guinea, passando per Indocina ed Indonesia.
Nella tradizione ayurvedica, la coccola di Levante è indicata per allontanare i pidocchi dai capelli, curare le ulcere e le malattie cutanee croniche, lenire i problemi respiratori. Anche le radici e il fusto hanno proprietà terapeutiche, grazie alla presenza di altri alcaloidi (ad esempio la berberina). Da noi, il “Cocculus Indicus”, nome con cui ci si riferiva nella farmacie medievali per i preparati a base di Anamirta cocculus, era da tempo usato in campo medico, essenzialmente com sedativo. Nel XIX secolo, rientrò nel cosiddetto “hard multum”, l’additivo con cui produttori di birra con pochi scrupoli rendevano la birra più inebriante senza per questo renderla più alcolica: Charles Dickens stigmatizzò questa pratica, definendola “spiccia e volgare”; in effetti, dopo la metà del XIX secolo questo metodo fu messo fuori legge, e sottoposto a sanzioni. La coccola di Levante è comunque ancora presente in alcune ricette omeopatiche moderne.